Novità e Approfondimenti su Cloud e Data Center - CDLAN

Cloud repatriation: i vantaggi di tornare al Private Cloud ​

Scritto da CDLAN | 2.07.2025

Nel 2024, l’83% dei CIO ha dichiarato di aver pianificato il rientro di alcuni workload dal cloud pubblico verso infrastrutture di private cloud o on-premise. Si tratta di un trend interessante, noto come cloud repatriation, che solleva un interrogativo: perché le aziende stanno nuovamente valorizzando la componente privata dei loro modelli IT?

Cloud repatriation: una fase fisiologica della IT transformation

All’inizio della rivoluzione cloud, la resistenza al cambiamento era tangibile. Le aziende erano riluttanti ad affidare i propri workload critici e i dati sensibili a infrastrutture di terze parti, temendo la perdita di controllo e la possibile esposizione a rischi non gestibili. Tuttavia, con il tempo la fiducia è cresciuta e si è assistito a un’adozione sempre più spinta delle infrastrutture pubbliche, spinte da benefici di scalabilità (virtualmente illimitata), da costi operativi tariffati a consumo e dall’accesso a tecnologie avanzate come intelligenza artificiale, machine learning e data analytics.

In realtà, le aziende si sono rese conto fin da subito che il modello cloud più adatto alle loro esigenze sarebbe stato quello ibrido, fondato sull’integrazione sinergica tra componenti pubbliche e private, gestite attraverso una governance unificata. A fronte di una complessità maggiore rispetto ai modelli “standard”, il cloud ibrido avrebbe fornito loro la massima flessibilità operativa, controllo sui workload e continuità del servizio.

Il fenomeno della cloud repatriation che stiamo osservando oggi, ovvero il trasferimento di dati, applicazioni e workload dalla componente pubblica a quella privata del cloud, non è in realtà un’inversione di marcia, bensì un riequilibrio. Le aziende, in altri termini, non stanno rinunciando al cloud pubblico, bensì rivalutando e potenziando il ruolo delle infrastrutture private all’interno del loro cloud mix. Tutto sta a capire perché ciò stia succedendo.

I vantaggi del cloud privato rispetto a quello pubblico

Nell'ambito odierno, in cui i modelli infrastrutturali sono sempre più distribuiti e multicloud, la scelta di riportare workload nel private cloud è dettata da alcuni fattori abbastanza comuni. Il cloud pubblico ha indubbi punti di forza, ma in diversi scenari emergono dei limiti (più o meno avvertibili un decennio fa) che fanno preferire l’infrastruttura privata, che peraltro sappiamo poter essere in-house – e allora la differenza con l’on premise tradizionale si riduce allo stack tecnologico – o hosted, ovvero ospitato da un partner locale di fiducia, che a sua volta è connesso agli hyperscaler proprio per poter abilitare modelli IT ibridi.

Costi più prevedibili e migliore governance finanziaria

Il modello pay-per-use degli hyperscaler ha attratto molte aziende, ma la realtà operativa si è rivelata più complessa delle aspettative iniziali. Le tariffe legate al consumo, la molteplicità dei servizi offerti e i meccanismi di pricing molto complessi hanno generato costi elevati, talvolta fuori budget e, soprattutto, poco prevedibili. È anche per questo che sono nate e si sono diffuse discipline come FinOps, per gestire al meglio una spesa cloud difficile da controllare senza strumenti, metodologie e competenze specifiche.


Nel private cloud, invece, il rapporto con il provider è molto più stretto, e la componente di costo può essere definita a priori in modo personalizzato, chiaro e preciso. Le aziende possono conoscere ex ante l’investimento che dovranno fare e per quali servizi, potendo così evitare l’overprovisioning e disporre di una visibilità completa sui consumi effettivi. Per molte grandi realtà, questo vantaggio – a parità di performance - è determinante per la scelta.

Localizzazione del dato e resilienza geopolitica

In un contesto internazionale sempre più instabile, la posizione geografica dei data center (e quindi dei dati) non è solo una questione tecnica, ma strategica. Tensioni tra Stati, sanzioni, ritorsioni economiche o conflitti regionali possono tradursi — anche improvvisamente — in interruzioni dei servizi, rincari imprevisti o nuove restrizioni normative imposte unilateralmente dai Paesi in cui risiedono fisicamente i dati. Il private cloud consente alle aziende di scegliere fornitori locali o di ospitare direttamente i dati in-house, mantenendoli all’interno di giurisdizioni stabili e compatibili con i requisiti di business e compliance.

Compliance normativa e controllo dei dati

Il tema è strettamente connesso al precedente, ma qui non si tratta di prevenire eventi che mettano in discussione l’accesso al dato, ma di essere conformi a normative stabili che, soprattutto in Europa e in specifici settori, sono piuttosto rigide. Normative come il GDPR, DORA (Digital Operational Resilience Act) e le nuove direttive europee facenti parte del framework di cybersecurity (es, NIS2, Cyber Resilience Act…) impongono alle aziende livelli sempre più elevati di tracciabilità e responsabilità nella gestione di dati e applicazioni mission-critical. Qualsiasi declinazione privata rappresenta una soluzione ideale in chiave di controllo e di trasparenza.

Performance di alto livello

Alcuni workload – come quelli legati a database ad alte prestazioni, applicativi legacy critici o workload industriali, richiedono performance costanti e, soprattutto, una latenza minima. Nel cloud pubblico, questi requisiti possono essere soddisfatti, ma spesso a costi molto elevati o con compromessi architetturali. Il private cloud, invece, consente di costruire ambienti tailor-made ottimizzati per esigenze specifiche e, per quanto concerne la latenza, fisicamente vicini a chi utilizzerà i dati, ovvero ai professionisti e alle applicazioni di business.

Cloud repatriation: un passo avanti verso l’ottimizzazione

Il ritorno al private cloud non rappresenta quindi una sconfitta del paradigma cloud pubblico. Al contrario, è il segno di una maturazione strategica

Le aziende hanno capito che per massimizzare il valore dell’IT serve scegliere consapevolmente dove collocare i carichi di lavoro, in base a requisiti di costo, compliance, prestazioni e controllo. Il cloud journey rimane quindi focalizzato sull’ibridazione, ma la componente privata non è più un semplice “rifugio” di workload legacy, bensì una componente sempre più strategica, moderna e performante, capace di garantire costi sostenibili, prestazioni elevate, allineamento ai paradigmi di sovranità del dato, maggiore controllo ed elevati standard di sicurezza.