Per prima cosa, posizioniamo correttamente il disaster recovery plan nell’ambito più ampio della business continuity (e resilience) aziendale. Per definizione (TechTarget), si tratta di un “approccio documentato e strutturato che descrive come un’organizzazione può riprendere rapidamente il lavoro dopo un incidente non pianificato”.
Disaster recovery plan come pilastro della resilienza d’impresa
La principale differenza rispetto a un piano di continuità del business è, appunto, il suo posizionamento nell’ambito della resilienza d’impresa. Partendo dal presupposto che oggi i processi su cui si basa l’attività d’impresa fanno totale affidamento sui sistemi e sull’infrastruttura IT sottostante, il disaster recovery plan si occupa in modo specifico di minimizzare gli effetti di qualsiasi disaster sull’operatività dei sistemi stessi e sull’accessibilità dei dati.
Disegnando un business continuity management system (BCMS) come una piramide, la parte alta, che corrisponde al layer strategico/gestionale, è quella di pianificazione della continuità del business, mentre la base, che corrisponde al layer infrastrutturale (processi di recovery dei sistemi, strategie di data protection e backup, replica sincrona/asincrona…) è proprio quello su cui insiste il disaster recovery plan.
Che cos’è un disaster recovery plan (DRP) e qual è la sua relazione con la business continuity
Il disaster recovery plan cos’è? È un documento strategico e operativo che definisce le procedure per ripristinare i sistemi IT e i dati aziendali a seguito di eventi critici o disastri non pianificati. L’obiettivo è ridurre al minimo l’interruzione dei servizi e il rischio di perdita dati, salvaguardando la continuità delle attività digitali dell’organizzazione.
Nel contesto più ampio della resilienza aziendale, il DRP si posiziona come componente infrastrutturale fondamentale del BCP, ovvero del Business Continuity Plan. Se il BCP si occupa della continuità complessiva dei processi aziendali, il DRP si concentra in particolare sul recovery tecnologico: sistemi, applicazioni, dati, reti.
Possiamo immaginare il BCMS (Business Continuity Management System) come una piramide: al vertice troviamo la strategia e la governance, alla base i processi di recupero IT. È in quest’ultimo layer che il piano di ripristino di emergenza trova la sua collocazione.
Perché il disaster recovery plan è fondamentale per la tua azienda
Implementare un DRP ben strutturato porta vantaggi concreti per ogni tipo di organizzazione:
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Minimizza i tempi di inattività, riducendo le interruzioni delle attività operative e il rischio di perdita economica.
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Protegge i dati critici da attacchi informatici, guasti hardware, errori umani e disastri naturali.
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Salvaguarda la reputazione aziendale, dimostrando affidabilità e preparazione.
- Supporta la conformità normativa, soprattutto in ambiti regolamentati come finance, sanità o pubblica amministrazione.
Al contrario, l’assenza di un DRP può portare a conseguenze gravi: perdita irreversibile di dati, costosi downtime, sanzioni normative, danni d’immagine e perdita di fiducia.
Elementi chiave di un DRP: RTO, RPO e analisi dei rischi
Due metriche fondamentali per ogni strategia di disaster recovery sono:
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RTO (Recovery Time Objective): il tempo massimo entro cui un sistema deve essere ripristinato dopo un’interruzione.
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RPO (Recovery Point Objective): il punto nel tempo a cui è accettabile riportare i dati (es. ultimi 15 minuti, ultime 24 ore).
Scelte tecniche, livelli di automazione, tipologia di backup e infrastruttura dipendono da RTO e RPO definiti per ciascun processo.
Per impostare correttamente questi obiettivi, è fondamentale svolgere due attività preliminari:
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Business Impact Analysis (BIA): valuta l’impatto di un’interruzione sui processi aziendali.
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Risk Analysis (RA): identifica minacce e vulnerabilità.
L’analisi dei rischi e la valutazione dei processi mission-critical guidano le scelte strategiche, le tecnologie da adottare e gli investimenti necessari a costruire un DRP efficace e sostenibile.
Come creare un disaster recovery plan efficace: i passaggi principali
Una corretta realizzazione del disaster recovery plan deriva in primis dalla quantità di informazioni a disposizione del team incaricato di formalizzarlo: processi, sistemi, rischi, impatti, strutture e potenziali eventi sono i pilastri su cui costruire un piano efficace, che deve essere al tempo stesso preciso, completo e strutturato. Nulla va lasciato al caso.
L’efficacia del disaster recovery plan dipende poi dalla capacità di prepararsi all’evento critico nonché dai test realizzati in ambienti sicuri e controllati. Ogni azienda può interpretare a suo modo l’estensione del disaster recovery plan, talvolta integrando elementi di analisi del rischio e degli impatti, ma non deve mai trascurare la sua natura di plan, di piano operativo indirizzato a tutelare i sistemi IT di fronte a un evento disruptive. Per questo, riteniamo che gli elementi che non possono mancare siano:
- Descrizione dettagliata dei sistemi critici, posizionamento e relazioni;
- Informazioni circa RPO e RTO per ciascun processo;
- Procedure per riavviare, ripristinare reti, sistemi e dati;
- Definizione dei ruoli;
- Eventuali altre procedure d’emergenza, come la comunicazione con le autorità.
Per tutti i motivi citati, il Disaster Recovery Plan è quindi una parte, un elemento cardine di una strategia più ampia di continuità del business. Esistono aree del recovery plan che riguardano l’infrastruttura di rete, la continuità operativa dei server, il ripristino dei dati e dell’intero data center, magari sfruttando tutti i benefici del cloud.
Chi cerca un punto di partenza pratico può ispirarsi a un disaster recovery plan template italiano, adattandolo alle proprie esigenze. Ogni organizzazione, infatti, dovrebbe sviluppare un disaster recovery plan esempio su misura, calibrato su obiettivi, risorse e criticità specifiche.
L’impatto (positivo) del cloud
Il cloud ha un impatto positivo e determinante su questo tema poiché consente alle aziende di implementare piani di disaster recovery a zero o near-zero downtime senza bisogno (come si faceva un tempo) di replicare fisicamente l’infrastruttura del data center proprietario in un secondo locale connesso stabilmente al primo ma debitamente distanziato dal punto di vista geografico: anche migliaia di chilometri, se le performance in termini di latenza non sono determinanti. Lo stesso risultato si ottiene delegando le attività di disaster recovery a un partner dotato di infrastruttura resiliente e distribuita. In tal caso, inoltre, anche le attività connesse al ripristino dei sistemi ricadono tra gli oneri del partner.
Per quanto l’approccio di cloud disaster recovery richieda una gestione corretta e continuativa, l’impatto su tempi, costi e affidabilità è notevole, e questo vale anche per il backup, altro pilastro della business resilience nonché unico mezzo efficace contro la cancellazione accidentale dei dati.
Tipologie di disaster recovery plan e il ruolo del cloud
Esistono diverse tipologie di DRP, a seconda dell’ambito IT coperto:
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DRP per Data Center
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DRP per applicazioni critiche
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DRP per ambienti virtualizzati
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DRP per infrastrutture di rete
Tra le soluzioni più diffuse oggi c’è il Disaster Recovery su Cloud (DRaaS). Questo approccio consente di replicare i sistemi IT in ambienti virtuali, accessibili da remoto e in grado di garantire zero o near-zero downtime.
CDLAN, con i suoi Data Center Tier IV (Milano C21 e Roma E100), supporta le aziende nell’implementazione di soluzioni di disaster recovery resilienti, scalabili e sicure. Il cloud elimina la necessità di infrastrutture fisiche duplicate, riduce i costi iniziali e consente ripristini rapidi anche da località geograficamente remote, senza impatti sulla performance.
Testare e mantenere aggiornato il tuo disaster recovery plan
Un disaster recovery plan non può essere considerato completo solo perché formalizzato: è, a tutti gli effetti, uno strumento dinamico, che deve essere testato, aggiornato e validato regolarmente per garantire la sua reale efficacia.
Ma cosa sono i test di disaster recovery? Si tratta di prove pratiche, realizzate in ambienti sicuri e controllati, che simulano eventi critici per verificare che le procedure funzionino correttamente, che il personale sappia come intervenire e che i tempi di risposta siano in linea con quanto previsto. Questi test possono assumere diverse forme, dalle esercitazioni a tavolino (walk-through) ai test di failover completi. Ognuna di queste modalità consente di mettere alla prova il piano, di individuare eventuali punti deboli e di rafforzare la preparazione dell’intero team.
È altrettanto importante che il DRP venga mantenuto aggiornato nel tempo. Cambiamenti nell’infrastruttura IT, nell’organizzazione interna, nell’ambiente normativo o nelle minacce cyber impongono una revisione periodica del piano. Solo un DRP aggiornato può essere davvero efficace nel momento del bisogno.
A questo proposito, è utile ricordare quando viene attivata la procedura di recovery: ciò accade ogni volta che un evento – un attacco informatico, un guasto critico, una calamità naturale o anche un errore umano rilevante – compromette la continuità dei sistemi IT aziendali in misura tale da richiedere un intervento strutturato e tempestivo. In quei momenti, avere un piano collaudato e aggiornato fa la differenza tra un’interruzione temporanea e un danno grave e duraturo per l’intera organizzazione.